La stagnazione in termini di novità discografiche ha prodotto negli ultimi anni almeno due macrocategorie di artisti che, prendendo in prestito due termini del linguaggio politico, potremmo chiamare “progressisti” e “conservatori”: i primi tentano di andare avanti, superare le etichette ormai “classiche” – e bisognerebbe aprire un dibattito riguardo l’opportunità di alcune di queste – spesso contaminando, mescolando, fondendo materiale proveniente da diversi orizzonti. I conservatori, lo dice il termine stesso, rimangono attaccati a stilemi e motivi del passato, ripetendosi e contribuendo alla ciclicità del ritorno delle mode. [...] continua a leggere la recensione su TheWebzine
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